Nán Nuò Shān, Quel Buio che conosci. Yunnan.

Nan nuo shan puerh gixlovestea
Nán Nuò Shān, 23 maggio 2014
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La prima sera che arrivai nella foresta di Nán Nuò Shān, non c’era luce.
Non c’era la Luce, la luce elettrica.
Certo era sera, una sera tipo tropicale con la luce, con il sole che chissà perché sembra tagliare in due l’orizzonte senza mai però dividerlo, che cerca di illuminare il più possibile quella parte di mondo a me, fino ad allora, sconosciuto.
Ero ospite di una famiglia di Contadini che stavano ultimando una Guesthouse, prima di un tornante, su una salita ancora da asfaltare.
Un veloce ma non fugace pasto, e poi, in stanza.
La mia stanza, carina, o meglio, ospitale, fu pulita in fretta dalla Donna, di etnia Hani, almeno credo, ma ne sono abbastanza sicuro.
La donna, non molto anziana e nonostante la mia totale incapacità di emettere un qualsiasi tipo di suono comprensibile, continuava a cercare di comunicare, con gesti, sorrisi e probabilmente qualche tipo di bestemmia in dialetto. Io sorridevo mentre cercavo di rendermi utile.
Questa è una cosa che mi ha fatto sentire a casa, un fatto delle genti del Sud, il bisogno estremo, anche in situazioni di magari imbarazzo, di comunicare, sempre.
Meraviglioso.
Distratto dalla presenza della donna, non mi ero reso conto che la stanza affacciava su una balconata di ringhiera azzurra, che circondava totalmente la casa ancora in costruzione.
C’era un vista incredibile sulla valle, con in lontananza Luci di villaggi lontani, fuochi fatui terribilmente reali.
Era tutto buio, terribilmente buio, ma davvero buio.
Un buio primordiale, dimenticato, ma dentro di te.
Quel buio talmente buio che paradossalmente riesci a comprendere dove finisce, tanto è lo scuro.
Quel buio che riesce a trascinare via il tempo,
che ci stai dentro le ore, senza farci caso.
Differente da quel buio che quando sei piccolo ti inchioda al letto, di notte, senza possibilità di salvezza.
Questo buio lo conosci, lo hai già conosciuto.
Un buio dimenticato ai piedi di una foresta che cantava, suonava, si lamentava, spazzata da un vento meridionale caldo di fine primavera.
Rimasi praticamente tutta la notte appoggiato alla ringhiera azzurra di quel balcone che circondava la casa, in compagnia di tremila occhi nascosti e di altrettante assordanti voci che mi fecero compagnia prima di crollare, poco prima dell’alba.
Il mattino dopo, uno voce, uno slang nuovo mi fece scendere dal letto. Era la donna Hani, la mia colazione era pronta.
Noodles, meravigliosamente piccanti, ed un tè, non in Gaiwan, ma rigorosamente in bicchiere di vetro.
E ora di andare, Vecchia Donna Hani, è stato un vero piacere.
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Nán Nuò Shān, Yunnan del Sud.

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